venerdì 15 aprile 2011

Verso il 6 maggio. Le ragioni dello sciopero della CGIL: reagire al declino del Paese

di Renzo Penna

Mentre il governo, sull’immigrazione, colleziona figuracce in Europa e il “premier”, inquisito, arringa, dentro e fuori il palazzo di giustizia di Milano, una piccola folla di seguaci per attaccare i magistrati, cresce il declino del Paese, peggiorano le condizioni delle famiglie italiane e aumenta la disoccupazione. Soprattutto tra i giovani e le donne.

Dopo oltre due anni dall’inizio della crisi l’Italia è oggi più povera, più povere sono le famiglie, più alta la disoccupazione. Il nostro Paese ha subito una riduzione della ricchezza maggiore della media europea. Il debito pubblico è cresciuto e lo stato sociale copre sempre meno i bisogni delle fasce più esposte della popolazione. Si è aggravata la condizione dei pensionati ed è aumentata la percezione di insicurezza per le giovani generazioni. Il lavoro paga la svalutazione di valore che ha subito negli ultimi anni e sopporta un carico fiscale eccessivo quanto ingiusto.

Secondo i più recenti dati dell’Istat nel corso del 2010 le famiglie italiane hanno, infatti, visto ridursi dello 0,6% il loro potere di acquisto, ossia il loro reddito disponibile in termini reali. Come conseguenza la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 12,1%, registrando una diminuzione dell'1,3% rispetto all’anno precedente. Diminuzione del risparmio che arriva al suo minimo storico ed è causata da un aumento più consistente - pari al 2,5% - della spesa per consumi finali. Dati che confermano la gravità dell’impatto della crisi sulla vita della stragrande maggioranza degli italiani e, mentre i profitti tornano, seppur di poco, a salire, cala il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni.

Per le famiglie, in questa accresciuta difficoltà economica, e limitandosi ad un solo aspetto, aumenta il disagio abitativo. E ciò nonostante nel paese ci siano più abitazioni che famiglie e siano stimati in 800 mila gli alloggi vuoti. Oggi le spese per le abitazione costituiscono una delle voci principali del bilancio familiare: quasi 2,5 milioni di famiglie, pari al 10% del totale, si trovano in condizione di serio disagio nel pagare tali spese che incidono per oltre il 40% sul reddito.

Si tratta in particolare di famiglie in affitto (31%), di quelle con redditi più bassi, inferiore a 15 mila euro (27%), di famiglie monogenitori con figli minori (26%), di persone sole con meno di 35 anni (24%), a conferma delle difficoltà che i giovani incontrano nel realizzare il progetto di uscita dalla famiglia di origine.

In tale contesto, sabato 9 aprile, giovani, precari e studenti e coloro che non vogliono essere più invisibili hanno manifestato in tutta Italia e all'estero per chiedere che siano riconosciuti a tutti pari diritti e dignità sul lavoro, mettendo al centro il valore del lavoro e la difesa di un'occupazione senza precarietà. A Roma, Milano, Napoli, Palermo, Torino, Bergamo, Bari, Perugia, e in altre 50 città, con un solo slogan: “Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta”, le varie realtà del mondo del lavoro precario: da quello della scuola, dell'università e della ricerca, ma anche della pubblica amministrazione, dei servizi e dell'industria, hanno preso la parola per chiedere che siano riconosciuti, senza escludere nessuno, pari diritti e dignità sul lavoro.

A questo proposito - mentre l'80% delle nuove assunzioni ormai avviene attraverso forme di lavoro precario - le principali proposte che la Cgil avanza si propongono di ridurre a quattro le forme di lavoro diverse dal tempo indeterminato e di aumentare i costi del lavoro precario per diminuirne il potere attrattivo da parte delle imprese. E, ancora, l’assunzione dei finti part time e dei finti stage, e l’estensione a tutti i giovani precari del sistema attuale degli ammortizzatori sociali.

Risulta così sempre più evidente la necessità e l’urgenza di due elementi che sono al centro delle rivendicazioni dello sciopero generale della Cgil del prossimo 6 maggio: una riforma fiscale che sposti il peso dal lavoro e dai redditi da lavoro e da pensione, all’evasione, alle rendite e alle grandi ricchezze e, contemporaneamente, un piano straordinario per promuovere l’occupazione.

Del resto le notizie contenute nel rapporto sulle entrate 2010 del dipartimento delle Finanze non sono affatto positive, poiché dimostrano come sia in atto un aumento silenzioso del prelievo su chi già paga e subisce la crisi: lavoratori e pensionati. L’aumento principale delle entrate fiscali nel 2010 - pari a quasi 7 miliardi di euro - grava infatti soprattutto sui salari e sulle pensioni. In particolar modo per effetto del “fiscal drag” e, mentre il reddito disponibile si sta riducendo, per i lavoratori e i pensionati aumenta il prelievo fiscale. Per quanto riguarda poi l’incremento registrato dell’Iva, questo non testimonia una ripresa dei consumi e della domanda. Di fatti tutto l’aumento dell’Iva - 4,5 miliardi di maggiori entrate per lo Stato - è relativo alle importazioni e dovuto all’aumento dei prezzi delle materie prime, alimentari ed energetiche, che graveranno, in particolar modo, sui consumi popolari.

Insomma i dati fiscali dello scorso anno non si prestano a nessuna lettura ottimistica per i redditi fissi e confermano la necessità di cambiare radicalmente il sistema fiscale italiano. Per questo la Cgil propone uno spostamento del prelievo da questi redditi e da quelli dei produttori verso le rendite improduttive e finanziarie perché il fisco, com’è strutturato oggi, aumenta in modo automatico il prelievo su chi già paga la crisi. Il sindacato di Susanna Camusso sostiene, anche, la campagna mondiale, lanciata dal sindacato internazionale, per una tassa sulle transazioni finanziarie. Una proposta che è volta a recuperare risorse a sostegno della ripresa economica senza gravare sui servizi e sui redditi da lavoro dipendente e da pensione.

In un paese, come l'Italia, sempre più colpito dal dramma della disoccupazione e del lavoro precario è altresì urgente unariforma degli ammortizzatori sociali. La proposta, recentemente elaborata dall’Istituto di ricerche della Cgil, prevede una drastica semplificazione degli strumenti normativi per tutti i settori. Questi dagli attuali sette si ridurrebbero a due: la Cassa integrazione guadagni e la Disoccupazione, con aliquote unificate per tutte le qualifiche. Una sola differenziazione resterebbe per le imprese fino a 15 dipendenti (aliquote più basse) e nei settori dell'Edilizia e dell'Industria dove le aliquote CIG sono maggiorate.

Dallo studio dell'Ires emerge inoltre come, in un mercato del lavoro più flessibile, sono sempre meno le persone che beneficiano di ammortizzatori sociali e stanno aumentando le imprese che terminato il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali ordinari sono costretti a passare alla Cassa integrazione guadagni in deroga. Per queste ragioni le caratteristiche fondamentali della proposta riguardano: l'universalità, l'inclusione, la semplificazione e la sostenibilità economica. Dando a tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore in cui operano, dalla tipologia e dalla dimensione dell'azienda, una copertura di carattere universale.

In questo quadro, sommariamente accennato, sono del tutto evidenti le responsabilità del Governo che non ha voluto, o saputo contrastare efficacemente la crisi, non ha investito sul futuro limitando la propria iniziativa ad un’azione di contenimento in attesa di tempi migliori. Anche alla luce del fallimentare bilancio politico e di una deriva populista incurante di ogni valore etico il governo rappresenta, oggi, il principale ostacolo alla ripresa economica, sociale e di credibilità interna ed internazionale dell’Italia.

Un aspetto che, il 6 maggio, non potrà che risultare centrale nella giornata di lotta nazionale proclamata dalla Cgil.

giovedì 7 aprile 2011

UNIVERSITA’: ALESSANDRIA SOTTO SCACCO - LE PROPOSTE DI SEL

Non siamo sorpresi dall’andamento della Conferenza di Vercelli. E dalle cose che lì sono state dette. Meglio una realtà cruda, ma trasparente che le dispute più o meno nascoste dello scorso anno sul discusso trasferimento a Novara di Giurisprudenza. Alla fine sventato con una disputa interna al senato accademico, che non ha coinvolto le istituzioni alessandrine e non è bastato a mettere in allarme gli amministratori locali.

Questa città e questa provincia da anni sottovalutano la potenzialità e l’importanza strategica di avere sul proprio territorio una sede universitaria riconosciuta ed autonoma.

Sottovalutazione, disinteresse, mancata valorizzazione e colpevole ritardo strategico e culturale che hanno riguardato e riguardano sia le forze politiche e le amministrazioni che il mondo economico e finanziario. E sono la causa prima della stagnazione e dell’attuale declino economico e sociale di Alessandria. Diversamente da altre realtà più lungimiranti che hanno puntato sull’Università come leva per lo sviluppo e sono diventate vere “città universitarie”. Pensiamo alla trasformazione rapida e positiva di città come Trento, ma anche, nel sud, come Teramo.

Novara per iniziativa congiunta delle amministrazioni - Comune e Provincia - e della locale Fondazione (Cariplo) negli ultimi anni si è mossa con decisione in questa direzione collaborando attivamente con l’Università e finanziando i corsi della propria sede.

E così Alessandria - la città che per prima ha progettato, proposto e rivendicato l’insediamento della seconda Università del Piemonte - finisce sotto accusa per le divisioni fra le amministrazioni (Comune e Provincia), che hanno influito sui tempi della definizione dell’Accordo di Programma, e nel Comune di Alessandria (tra sindaco e assessore al bilancio). Così come per le lungaggini e i ritardi sulla soluzione da dare ai problemi edilizi e le scarse risorse investite a sostegno della ricerca e della didattica.
La Fondazione della Cassa di Risparmio, ad esempio, prima dell’impegno sul nuovo Accordo di Programma, non ha mai finanziato l’Università del Piemonte Orientale, ma solo il Politecnico. Sottovalutando le tradizionali e già conosciute tendenze Torinocentriche del Piemonte.

Uno dei punti deboli della sede di Alessandria è, notoriamente, la carenza di studenti provenienti da fuori provincia, ma non si è fatto nulla per rivendicare all’Ente per il diritto allo studio (Edisu), alla Regione e all’Ateneo la realizzazione di una residenza universitaria, di una mensa fruibile, di una foresteria per i professori. Mentre ad Alessandria il Comune promette genericamente l’uso della caserma Valfrè e da anni non è capace di risolvere il contenzioso con l’Avogadro sull’ex ospedale militare, mentre la promessa della Provincia di mettere a disposizione l’ex caserma dei carabinieri di Via Cavour alle facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza non si è ancora concretizzata, a Novara è in costruzione il secondo lotto del campus universitario (ex caserma Perrone), dove sono previste anche nuove aule e una palestra.

Persino Vercelli ha elaborato più in fretta di Alessandria la decisione, sicuramente improvvida e sbagliata, ma ormai assunta, del rettore di Torino, di chiudere la locale sede del Politecnico e ne sta dirottando i locali all’utilizzo del Rettorato dell’Avogadro.

Il colpevole errore degli amministratori alessandrini è stato quello di considerare l’Università alla stregua di altre questioni, non capendone l’importanza e la strategicità per lo sviluppo futuro della città e del territorio. Facendo dipendere, ad esempio, un aspetto importante dell’insediamento e dello sviluppo dell’Ateneo, come la residenza studentesca, dalla soluzione speculativa da ricercare per il supermercato Esselunga. Come fosse un problema dell’Università.

Adesso occorre ammettere gli errori compiuti, prendere atto dei gravi ritardi accumulati, operare una vera e radicale svolta e definire un nuovo progetto. Senza inutili recriminazioni.
La discussione e l’approvazione in tempi rapidi, nei rispettivi Consigli, da parte di Comune, Provincia e Fondazione Cra dell’Accordo di Programma, con lo stanziamento di 250 mila euro per ogni ente, può essere utile per sancire la svolta. E nel contempo impegnarsi a risolvere rapidamente gli aspetti da troppo tempo legati alla disponibilità degli immobili.

Per quanto riguarda la Fondazione Cra sarebbe, poi, auspicabile programmare un contributo maggiore, pari ad almeno 1/100 delle proprie disponibilità finanziarie, portando il finanziamento a 500 mila euro. D'altronde quale finalità più congrua e in linea con le proprie finalità statutarie per una Fondazione che sostenere la ricerca dell’Università del proprio territorio.

Con queste nuove e concrete disponibilità si può e deve pretendere dalla Regione e dai responsabili dell’Ateneo scelte e decisioni a favore delle tre sedi e non del solo polo novarese.
Non lasciando più solo i presidi di Alessandria, come è recentemente accaduto, a contrastare e a rispondere alle dichiarazioni non solo sbagliate del presidente Cota, ma palesemente punitive per la sede di Alessandria.

Per fortuna il futuro della Tripolare non lo decide il vice sindaco di Novara. Uno squilibrio su un unico polo non sancirebbe, poi, l’Università in un solo polo: quello di Novara. Chi lo pensa e lo sostiene si illude, ma decreterebbe la fine dell’esperienza della seconda università del Piemonte.
Da questo punto di vista la sollecitazione del rettore alla definizione di un “luogo” di incontro degli enti locali delle tre realtà, con le rispettive Fondazioni, si muove nella giusta direzione e non va lasciato cadere. La Tripolare, questo “aggregato territoriale”, deve essere considerato interessante da parte di tutti nella consapevolezza che o c’è un vantaggio comune o non c’è vantaggio per nessuno. La duplicazione delle facoltà nelle sedi dove vi è una richiesta oggettiva e, per la sede di Alessandria, l’istituzione di un corso di economia aziendale rappresenta, nel breve periodo, la soluzione più utile e logica.
Un nuovo impegno deve anche riguardare le facoltà e i corsi di laurea della sede di Alessandria. La minore attrazione nei confronti dei diplomati della provincia - il 30/35% - denunciata dal rettore deve tradursi in una più impegnata e diretta promozione dell’Ateneo nei confronti dei studenti delle scuole superiori. E’ un compito di promozione che va ripreso e portato avanti con il coinvolgimento convinto, in primo luogo, dei docenti dell’Ateneo. Anche per adattate l’offerta formativa alle necessità e alle mutate prospettive del lavoro e dell’impiego. Per un piccolo ateneo la riduzione degli iscritti porta, per effetto dei tagli e della riforma, a conseguenze più pesanti rispetto alle università maggiori. In questo ambito, se Giurisprudenza fa registrare un positivo aumento del 15% delle iscrizioni, preoccupa la situazione di Scienze MFN dove si registra la grave chiusura del corso di matematica. Ci chiediamo se è stato fatto tutto per evitarlo!

Dopo la cessazione della didattica nella sede del Politecnico come è possibile che facoltà scientifiche come chimica, fisica, biologia, scienze ambientali non suscitino interesse e sostegno da parte delle Associazioni imprenditoriali ed economiche della provincia?
Cosa aspetta, ad esempio, il rinnovato Consorzio per la “cultura scientifica e tecnologica” a muoversi in questa direzione, accorgendosi della presenza di una facoltà scientifica con una nuova e moderna sede, oltretutto, dotata di aggiornati laboratori indispensabili per la ricerca?

Sinistra, Ecologia e Libertà di Alessandria.

Alessandria, giovedì 7 aprile 2011